La protagonista Giusi, si è trasferita a Barcellona per lavorare "io Barcellona non l'ho scelta, è un altro saltello tra un'occasione e l'altra. E quella mia non-scelta, al netto delle tristezze, a volte è una beata incoscienza."
Descrive molto bene la città e i movimenti degli attivisti
" la geografia della città è già di per sé una trappola, stretta tra il mare, la barriera naturale delle colline e una frenesia che può diventare claustrofobica. Tutto si muove al ritmo del centro, tutti vogliono vivere il centro, ogni angolo nasconde sorprese, un toccasana contro la noia. Ma la mitevolezza dei giorni e i continui imprevisti che una tale densità e intensità comportano, la repressione del dissenso, la gentrificazione, possono diventare insostenibili. Il centro attrae è respinge i suoi abitanti, come una calamita impazzita che sollecita il disorientamento".
Questa donna si trova in una bellissima città straniera, lontana da casa, dagli affetti, dialogando in un'altra lingua e conosce Bernat che diventerà suo miglior amico. Un uomo impegnato che le fa conoscere la città non turistica, l'appropria di un linguaggio politico di cui lei è ghiotta.
Le regala una presenza- casa e quando vivi in un luogo estraneo è un dono " la sua famiglia è diventata la mia, i suoi amici anche, e quell'affetto generale e totale è stata una mano di stucco su tutte le mie mancanze" ...e poi?
Cosa succede quando questa persona viene accusata di violenza sessuale?
Mar chiameremo così la vittima di violenza che non vuole essere chiamata vittima bensì sopravvivente e Bernat persona che ha inferto il danno e non predatore.
Un libro che attraverso un'esperienza reale racconta la giustizia trasformativa, alternativa alle richieste della nostra società che sono punitive.
Mar sceglie questa via, per dare la possibilità a lei di curare il suo trauma non sola e a lui di avere la possibilità di assumersi le responsabilità e avviare una trasformazione. Mar "concentra molte energie su un tema cruciale: non lasciare che altri definiscano il senso della propria storia, poiché la perdita di questo controllo potrebbe inficiare sulla guarigione. Soltanto prendendo le redini della situazione, chiedendo aiuto e supporto secondo i propri tempi, riesce a chiudere il cerchio o, meglio, a lasciare che mille altri se ne aprano, sotto forma di alternative, pronte a mettere in crisi ciò che è scontato."
Il tutto viene fatto collettivamente, ciò che è successo non riguarda solo loro due " riguarda anche chi ha organizzato la serata, chi ha passato con loro momenti di quella notte, riguarda certe convenzioni culturali, riguarda la necessità di stordirsi così frequentemente, riguarda la mascolinità che si esprime in pubblico e in privato."
Vengono creati due gruppi, uno scelto da Mar che sarà il suo supporto, ed un secondo gruppo "che organizzerà con Bernat incontri, discussioni, momenti di autocoscienza. (...) un terzo gruppo di collegamento farà da ponte tra i due di supporto e comunicherà le decisioni di Mar a Bernat e i progressi di Bernat a Mar."
Giusi è confusa, prova rabbia e non sa cosa pensare.
"La polarizzazione della società: la scelta di schierarsi e basta è di sicuro il modo più semplice di affrontare la complessità del reale. È un pó come strappare la realtà in due esatte metà e scegliere di vederne soltanto una. Eppure, l'altra parte, il resto della realtà, continua a esistere, anche se appare sfocata e fumosa, anche quando ignorata".
Così il libro riguarda una prima parte su questo avvenimento e una seconda parte dove vi è un'interessante analisi su varie tematiche come il femminismo e di come un utilizzo spasmodico dei social, ha(in alcuni casi) intaccato. "Il cosiddetto influencer femminism che irrompe sulla scena e raggiunge migliaia di follower e l'attenzione di molti brand". Questo corrisponde a un progresso della società?
Porta degli esempi molto interessanti che evito di scrivere per non togliervi nulla, parla anche delle realtà carcerarie. Racconta di alcune associazioni che si occupano di intervistare persone detenute, "con la convinzione che conoscere a fondo le conseguenze pratiche dell'invocare castigo e punizione nel quotidiano possa essere un ottimo punto da cui partire per decostruire il punitivismo. (..)Ci sono dei quartieri ipersorvegliati, e guarda caso molta gente di quei quartieri si trova in carcere. Il processo di giustizia criminale non funziona, perché spezza la comunità. Alla fine, né le vittime, né i cosiddetti criminali si sentono ascoltati. Spesso le persone hanno delle vite così difficili che è più semplice andare in prigione, a volte sono senza casa o devono gestire una dipendenza."
È inutile nascondermi, è interessante, sotto molti aspetti condivisibile, ma se dovessi pensare sulla mia persona avrei così tanta rabbia che non saprei se riuscirei a perseguire questa strada, anche se non ho molta fiducia nella giustizia convenzionale su questa tematica, vedendo alcune sentenze o comportamenti delle forze dell'ordine. "Sono migliaia le storie di violenza che potrebbero dimostrare quanto sia intrisa di misoginia la nostra cultura e quanto questo si riversi nel funzionamento del sistema giudiziario. Es. In italia il 27 maggio 2021 la corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato lo stato italiano a risarcire J.L, una ragazza vittima di violenza sessuale di gruppo avvenuta nel luglio 2008 a Firenze. Alla Corte d'Appello viene imputato l'uso di termini e argomenti che hanno determinato una <<vittimizzazione secondaria>>. Evito di scrivere le frasi riportate e questo è solo uno dei tanti esempi e non solo in Italia.
È opportuna una formazione dei tribunali in materia di violenza di genere, e ovviamente un'uniforme non è garanzia di sicurezza."
Mi chiedo, probabilmente dovrebbe essere un percorso parallelo alla giustizia convenzionale in modo che colui che ha inferto un danno si assuma la responsabilità. E allora un'altra domanda sorge spontanea direbbe Lubrano, ci sarebbe questa necessità se effettivamente nelle carceri ci fosse una rieducazione?
Dal libro emerge che essendo un percorso collettivo e non solitario, la rabbia viene smontata pezzo per pezzo. "Il desiderio di vendetta non è sinonimo di malvagità. (...) onorare le contraddizioni delle sopravvivenza rende la giustizia trasformativa possibile. La verbalizzazione del desiderio di vendetta è spesso liberatoria, mentre la messa in pratica della vendetta quasi mai lo è. (...)così come sono possibili la rabbia e il desiderio di punire lo è anche quello di trasformarsi: esiste, ma è semplicemente più difficile da intercettare, perché dall'esterno l'imperativo è rafforzare soltanto il desiderio di punizione, alimentato più che si puo".
"Nell'esperienza dei processi trasformativi, quando c'è un modo e uno spazio per esprimere un dolore silenziato e dall'altra parte il pieno riconoscimento, la prospettiva muta e il dolore stesso che è alla radice del desiderio di punizione a volte scompare del tutto (e a volte no). Tutte le parti in gioco possono sbloccare nuovi livelli di realtà rimasti in ombra, inascoltati: a volte sono quelli indesiderabili e impresentabili, i nostri lati più disgustosi, quelli che fatichiamo a mostrare. Un'azione trasformativa non è basata sul soffocare parti di sé o i propri sentimenti, ma sul creare uno spazio il più possibile sicuro per farli esistere e lavorarli."
Per cercare di spiegare cos'è la giustizia traformativa porterò un esempio del libro: " se rubo un portafoglio perché ho bisogno di soldi, posso restituirlo e chiedere scusa, ma alla fine di questo processo, sarò ancora una persona povera. La giustizia riparativa ritorna al momento precedente in cui quel danno è stato inferto. La persona che ha rubato porterà le sue scuse, e la persona derubata potrà accettarle, ma alla fine di quel processo, verranno ristabilite le condizioni di partenza. La riparazione non modificherà le ragioni per cui il furto è avvenuto-la povertà, una dipendenza, una malattia- e quando la persona tornerà alle condizioni iniziali, probabilmente si ritroverà di nuovo nella situazione di dover rubare. Le situazioni in cui c'è violenza- ecco il cuore dell'approccio trasformativo- sono spesso conseguenza di un'ingiustizia, il frutto di una disuguaglianza, e dunque il perseguimento della giustizia non può che passare attraverso la ricerca di strumenti per trasformare l'esistente, per cambiare quelle condizioni iniziali cosicché il danno non si verifichi più. Non si tratta in questo caso di trovare un finale alternativo, ma di riscrivere l'intera trama."
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